lunedì 9 dicembre 2013

Come combattere il bullismo?

di Seamus Kearney, su euronews:

“Il bullismo tra i ragazzi non è una novità, ma ora se ne parla sempre più spesso, cercando di far capire quale impatto devastante abbia sulla vita delle persone e di trovare metodi efficaci per affrontarlo e prevenirlo.”

“Se la prendevano col mio nome” racconta una 15enne “col fatto che ero un po’ in sovrappeso e con qualsiasi cosa potessero trovare. Ero molto triste. Ogni giorno tornavo a casa da scuola e piangevo.”

La maggior parte dei Paesi ha promosso iniziative in materia e alcuni hanno adottato leggi specifiche. Ma ora il fenomeno crescente del bullismo su internet alimenta il dibattito su quali siano le soluzioni migliori per combatterlo.

La Danimarca è uno dei Paesi in cui si discute molto del problema.

Alla fine degli anni ’90 i sondaggi mostravano che un quarto dei ragazzi tra gli 11 e i 15 anni aveva subito episodi di bullismo.
Abbiamo parlato con una teenager che ne ha sofferto per 4 anni.

“I miei insegnanti mi hanno aiutata come potevano – ricorda - ma questo non ha modificato l’atteggiamento degli studenti, quindi ho dovuto cambiare scuola.”
“Mi prendevano in giro per il mio nome – continua - pensavano che non fossi danese. E mi infastidivano dicendo che ero grassa. Scherzavano su tutto quello che dicevo e che facevo. Perciò ho dovuto cambiare scuola.”

In molti Paesi gli sforzi contro il bullismo consistono nell’incoraggiare i bambini a chiedere aiuto. Anche genitori e insegnanti sono invitati a tenere d’occhio gli studenti vulnerabili e a reagire con fermezza quando un caso viene scoperto.
Alcuni esperti sottolineano che bisogna agire soprattutto per cambiare l’atteggiamento di coloro che assistono ad episodi di bullismo e non fanno nulla.

In Danimarca si sperimenta da anni un approccio innovativo, per affrontare il problema prima ancora che si verichi.
Siamo andati in un asilo a nord di Copenhagen, uno dei tanti che adottano un programma di prevenzione chiamato “Liberi dal bullismo”.
Si tratta di un progetto lanciato dalla sezione danese di Save the Children in collaborazione con la fondazione promossa dalla Principessa Mary. L’iniziativa è stata una sua idea, ispirata da un progetto realizzato nel suo Paese d’origine, l’Australia.
Ai bambini si insegna come essere buoni amici, rafforzare lo spirito di gruppo e dire “stop” se si viene presi di mira.
Per incoraggiare l’empatia tra i bambini anche il massaggio può essere uno strumento utile.

Gli organizzatori intendono trasmettere i valori fondamentali della tolleranza, del rispetto, della condivisione e del coraggio per favorire relazioni positive tra i bambini sia nell’infanzia, sia nel resto della vita.

Lasse Lynaes, maestro d’asilo, spiega: “Molti bambini non hanno fiducia in sé stessi e possono essere vittime di bullismo molto presto, già all’asilo. Bisogna intervenire subito, anche perché i bambini colpiti da questi episodi potrebbero in futuro compiere atti di bullismo su altri. Quindi pensiamo che sia importante fermare il fenomeno da qui.”

Tra i materiali didattici, si utilizzano libri concepiti appositamente per combattere il bullismo. Sei membri del personale dell’asilo sono stati formati su come gestire le attività. Anche coinvolgere i genitori è importante.

La madre di un bambino assicura di aver visto risultati decisamente positivi.
“Aveva un anno e mezzo e sapeva dire solo poche parole” racconta Marianne Bjerg. “Diceva la parola stop. Diceva sempre stop, quando non gli piaceva qualcosa. E abbiamo potuto constatare l’empatia. In casa nostra pensiamo sia molto importante imparare l’empatia verso gli altri bambini o gli altri esseri umani. Lo noto quando vede qualcuno che sta male. Se io sono triste, mi chiede ‘stai bene, mamma?’ E quando questo succede, penso: ‘ok, il metodo funziona’.”

Seamus Kearney, euronews:
“Lanciato nel 2007, il programma “Free of Bullying” viene utilizzato ormai in un asilo su tre e in una scuola elementare su 4, in Danimarca.”
Anche le scuole della Groenlandia hanno introdotto il programma, che suscita interesse pure in altri Paesi, tra cui l’Estonia.
In Danimarca si guarda con ottimismo alla possibilità di migliorare i comportamenti. I sondaggi rivelano che gli episodi di bullismo stanno diminuendo.
A livello europeo, l’Unione sta considerando ulteriori iniziative da intraprendere e modi per sostenere i sistemi nazionali per la protezione dei bambini.
Gli esperti affermano che è importante anche comunicare gli esempi positivi e invitano a far sapere che i metodi che consentono di ottenere risultati esistono.

martedì 19 novembre 2013

Bullismo: che fare?

guida realizzata da telefono azzurro per aiutare tutti i boys and girls a riconoscere ed affrontare le varie forme di bullismo.

COS’È IL BULLISMO

Hai mai litigato con un amico o giocato a fare la lotta o fatto uno scherzo per ridere insieme? È normale, è il bello della tua età. Il bullismo invece non è un gioco. È prepotenza fisica, verbale e psicologica tra ragazzi come te, ma che può avere conseguenze molto gravi. Impara a riconoscerlo per non cadere nella sua trappola.

BOTTE MINACCE E INTIMIDAZIONI PRESE IN GIRO - INSULTI COMMENTI A SFONDO SESSUALE - LE FORME PIÙ COMUNI DI BULLISMO

59,9% soprannomi spiacevoli

46,6% derisione per l’aspetto fisico

46,1% esclusione dal gruppo

28,7% cyber-bullismo

FURTI O DANNEGGIAMENTI - FORSE NON SAI CHE...

il 15,09%  degli studenti è vittima di bullismo e cyber-bullismo

il 51% dei ragazzi ha assistito a episodi di bullismo

il 79% degli atti di bullismo avviene a scuola

FONTI ABC - Europe’s AntiBullying Campaign http://www.e-abc.eu/it/bullismo
Eurispes - Indagine conoscitiva sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2011

Sito www.azzurro.it
Ricordati che puoi sempre rivolgerti gratuitamente a Telefono Azzurro:
attraverso il servizio ch@t disponibile tutti i giorni dalle 16 alle 20 su azzurro.it - chiamando il numero gratuito riservato a chi ha bisogno di aiuto 1.96.96

Anche pettegolezzi o continue esclusioni dal gruppo possono essere considerati bullismo.

il 10,2% ha ricevuto sms a sfondo sessuale
il 20% dei ragazzi ha trovato proprie foto imbarazzanti online
il 23,6% ha trovato proprie informazioni false

SAI CHE...
Internet è come il cortile della tua scuola, solo molto più grande. E in più possono entrare tutti, anche gli sconosciuti. Per questo devi stare attento a come usi il web e i social network. Il bullismo è anche lì, e si chiama cyber-bullismo.

E C’È ANCHE IL CYBER-BULLISMO
Offese sui social network - Furto di identità per mettere in imbarazzo - Pettegolezzi via sms - Insulti via sms o chat - Minacce via e-mail - Pubblicazione di foto o video umilianti.

SE VEDI UN EPISODIO DI BULLISMO
• Non fare finta di niente
• Rifiutati di partecipare
• Cerca di far capire al bullo che sta sbagliando
• Chiedi aiuto a un adulto
• Stai vicino al compagno che ha subito le prepotenze e accompagnalo dall’insegnante
• Invita i tuoi amici a non sostenere il bullo

SE PENSI CHE ESSERE BULLO SIA FIGO
• Chiediti perché: pensi che non avresti amici se non fossi un bullo?
• Pensaci bene, di sicuro hai altre qualità per essere popolare tra i compagni
• Prova a metterti nei panni delle vittime: ti piacerebbe essere trattato così?
• Magari ti comporti così perché c’è qualcosa che ti mette a disagio: parlane con un adulto
• Forse non lo sai, ma fare il bullo potrebbe portarti sulla cattiva strada
Può capitare di fare cose sbagliate alla tua età, ma puoi sempre rimediare: parlarne è il primo passo!

SE QUALCUNO FA IL BULLO CON TE
• Non vergognarti per ciò che accade, non è in alcun modo colpa tua
• L’isolamento non è una soluzione. Altri ragazzi possono essere stati coinvolti in episodi di bullismo, ricordati che non sei solo
• Rispondere “con la stessa moneta” rischia di peggiorare la situazione
• Chiedi aiuto, non aspettare, fallo subito! Ricordati che chiedere aiuto non significa essere una spia o un debole, ma è il primo passo per risolvere la situazione
• Racconta ai tuoi insegnanti quello che accade, magari con l’aiuto e l’appoggio di qualche compagno
• Parlane con la tua famiglia

SE QUALCUNO TI INFASTIDISCE ONLINE
• Invia al cyber-bullo un messaggio in cui, in maniera chiara, dici che il suo comportamento ti sta disturbando e lo inviti a smettere; nel caso non smetta, evita di rispondergli
• Segnala le azioni che ti danno fastidio ai moderatori o a chi gestisce il sistema
• Blocca o filtra tutte le e-mail e la messaggistica immediata provenienti dal cyber-bullo
• Evita di visitare i forum, le chat o comunque di partecipare a gruppi di discussione dove hanno avuto luogo gli attacchi. Eventualmente cancellati
• Se gli attacchi dovessero continuare, considera la possibilità di cambiare indirizzo e-mail, account o la username per impedire di essere identificato
• Parla con un adulto. Ciò vale anche nel caso in cui non sia tu la vittima diretta, ma ti sia capitato di assistere a episodi di cyber-bullismo


LA GUIDA DEDICATA AI GENITORI PER AIUTARLI A STARE VICINO AI PROPRI RAGAZZI

COS’È IL BULLISMO
Il bullismo è una prevaricazione intenzionale, ripetuta nel tempo, che prevede l’utilizzo di violenza fisica, verbale o psicologica e può avere conseguenze molto gravi.

LE FORME PIÙ COMUNI DI BULLISMO: BOTTE MINACCE E INTIMIDAZIONI - PRESE IN GIRO - INSULTI - COMMENTI A SFONDO SESSUALE

Per non sottovalutarlo bisogna riconoscerlo:
- Torna spesso a casa con vestiti stracciati o sgualciti, libri o oggetti rovinati o vi dice di aver perso i soldi che gli avevate dato
- Ha lividi o ferite per i quali non riesce a fornire una spiegazione
- Non invita più a casa i compagni di classe o i coetanei e non trascorre più del tempo con loro
- Smette improvvisamente di andare su Internet o, al contrario, controlla in continuazione i propri profili sui social network
- Ha paura di andare a scuola o in altri luoghi di aggregazione che prima frequentava abitualmente
- Ha mal di stomaco o mal di testa frequenti prima di andare nei luoghi di aggregazione (ad es, scuola, palestra), improvviso calo nel rendimento scolastico, difficoltà del sonno, inconsueti sbalzi di umore, irritazione o scoppi d’ira

FURTI O DANNEGGIAMENTI
15,09% degli studenti è vittima di bullismo e cyber-bullismo
51% dei ragazzi ha assistito a episodi di bullismo
79% degli atti di bullismo avviene a scuola

I CAMPANELLI D’ALLARME
I ragazzi hanno un’intensa attività online. Se il bullismo è circoscritto all’aula o
al gruppetto di presenti, il cyber-bullismo può contare su una platea sconfinata, aumentando in modo esponenziale le sofferenze delle vittime.

E C’È ANCHE IL CYBER-BULLISMO
Offese sui social network Insulti via sms o chat - Minacce via e-mail - Pubblicazione di foto o video umilianti

UN PROBLEMA REALE
Bullismo e Cyber-bullismo possono avere conseguenze gravissime sulla vita di un bambino o un adolescente, a volte anche estreme. Non sottovalutare il problema, mantieni sempre alta l’attenzione sul mondo di tuo figlio.

CONSIGLI PER CONTRASTARE IL BULLISMO
• Educa a comportamenti relazionali positivi, dando l’esempio in famiglia
• Educa all’accettazione, all’ascolto e al rispetto per l’altro
• Invita a non rimanere indifferente davanti alle ingiustizie, anche a quelle che non riguardano i suoi amici
• Presta attenzione ai segnali di malessere di tuo figlio
• Se tuo figlio ti racconta una situazione di bullismo, ascolta senza minimizzare e giudicare quello che ha fatto/non ha fatto
• Ascolta il suo parere valorizzandone l’iniziativa e trovate insieme un modo per risolvere la situazione
• Stimola tuo figlio a trovare attività nuove e gratificanti, anche al di fuori della scuola, che possano aumentare la sua autostima
• Confrontati con gli insegnanti e cercate insieme una soluzione
• In caso di necessità, rivolgiti a Telefono Azzurro chiamando il numero 1.96.96

CONSIGLI PER CONTRASTARE IL CYBER-BULLISMO
• Cerca di conoscere il mondo online di tuo figlio, cosa fa, che siti frequenta, chi incontra
• Insegnagli a usare Internet con la testa, in particolare a non inviare informazioni sensibili
• Spiegagli quali rischi corre online, come quelli legati all’invio di foto/video di se stesso che possono finire nelle mani sbagliate
• Insegnagli a comportarsi correttamente e responsabilmente online
• Invitalo a informarti subito se qualcuno lo importuna online
• Presta attenzione anche ai piccoli cambiamenti che avvengono nel suo comportamento e nei suoi atteggiamenti, ancor più se improvvisi
• Mantieni un dialogo sempre aperto con gli insegnanti, la scuola
e le altre figure educative
• In caso di necessità, rivolgiti a Telefono Azzurro
chiamando il numero 1.96.96

domenica 17 novembre 2013

Pakistan: Vietato leggere il libro di Malala



Vietato essere Malala, l’autobiografia bandita in tutte le scuole


Domenica 10 novembre 2013 la Federazione delle Scuole private pakistane ha deciso di vietare l’uso del libro autobiografico “I am Malala” (Io sono Malala), scritto dalla giovane attivista insieme alla giornalista britannica Christina Lamb. Il libro è stato vietato in 40.000 scuole private del Pakistan, perché considerato uno “strumento dell’Occidente”.

ht_malala_book_cover_kb_131003_16x9_992Lo ha annunciato Adeeb Javedani, presidente dell’Associazione per la gestione di tutte le scuole private del Pakistan. Come riporta l’Independent on Sunday, la Federazione, che rappresenta 152.000 istituti in tutto il Paese, fra cui quelli che formano i figli dell’élite politica ed imprenditoriale, non vuole il volume nei programmi scolastici e non lo metterà neppure a disposizione degli studenti nelle biblioteche. Secondo Javedani, «Il libro rappresenta l’Occidente, non il Pakistan».

Anche i vertici scolastici sottolineano l’«effetto negativo» che il libro avrebbe sull’educazione degli studenti. Kashif Mirza, presidente del’Associazione che riunisce gli istituti privati, spiega attraverso l’Independent on Sunday le ragioni del divieto:

Abbiamo analizzato il libro ed è emerso che ci sono molti commenti contrari all’ideologia dell’Islam, su cui si basa il Pakistan

Più precisamente afferma che il nome del profeta Maometto viene citato nel volume senza la sigla “La pace sia su di lui “, come è consuetudine in molte parti del mondo islamico. Milioni di bambini che frequentano le scuole private (la maggior parte visto il cattivo stato del sistema scolastico pubblico del paese) non potranno leggere il libro di Malala, probabilmente gli stessi scolari pachistani che dopo l’attentato avevano riempito le strade di cartelli con la scritta “Sono Malala”.


E’ passato poco più di un anno dall’attentato che ha cambiato la vita di Malala per sempre e risulta evidente che mentre la ragazza viene ormai considerata un’eroina a livello internazionale, nel suo Paese di origine crescono sentimenti anti-occidentali e si alimentano sentimenti contro Malala stessa.

La giovane ha rivelato verità scomode urtando i poteri politici e religiosi pakistani. Nell’anniversario dell’attentato, la scuola che la giovane frequentava non ha ricordato l’assalto. Studenti e insegnanti hanno paura. 

Anche se molte più bambine vanno a scuola dopo l’attentato contro Malala e si presta maggiore attenzione all’educazione femminile come risposta all’opinione pubblica internazionale, le minacce terroristiche sono aumentate e i bambini si nascondono alle telecamere.


Parte della popolazione locale si sente tradita da Malala, sostiene Ghufran Alì, professore del Degree College dello Swat, come se lei avesse abbandonato la valle per una vita più facile. Si rimprovera a Malala e alle sue due amiche Shazia Ramzan e Kainat Riaz (ferite in maniera meno grave durante l’attacco) di essersi trasferite in Gran Bretagna per ricevere un’educazione gratuita, mentre migliaia di ragazze in Pakistan continuano a rischiare la vita. Se Malala fosse ritornata in visita nel paese, secondo il professore, la gente si sarebbe sentita meno sola e abbandonata. Questo ragionamento non tiene conto però del grave pericolo che correrebbe la giovane nel rimettere piede nello Swat: i militanti minacciano di ucciderla se tornerà nel Paese.


A seguito dell’attentato i terroristi talebani non solo lo hanno rivendicato e non hanno ancora pagato per averlo commesso, ma hanno descritto Malala come il simbolo dell’oscenità e degli infedeli. Il portavoce dei talebani Shahidullah Shahid sostiene che i numerosi premi ricevuti dalla ragazza sono stati ottenuti perché lei sta lavorando contro l’Islam e che la ragazza è una spia americana.

La sua battaglia contro l’Islam sarebbe la ragione principale dei suoi premi. Molti studiosi islamici pakistani hanno denunciato pubblicamente i tentativi da parte dei terroristi di montare giustificazioni religiose inverosimili e l’attacco è stato fermamente condannato in Pakistan. Purtroppo però esistono frange di partiti politici pakistani che, come i terroristi , parlano di teorie del complotto: la sparatoria che ha coinvolto Malala sarebbe stata una messa in scena della CIA, un pretesto agli americani per continuare gli attacchi dei droni.

9 ottobre 2012: l’attentato a Malala


Un proiettile ha colpito l’occhio sinistro e l’altro il collo e la spalla. Inizialmente ricoverata in un ospedale militare vicino Islamabad, dove fu operata di urgenza, una settimana dopo viene trasferita nel Regno Unito per essere sottoposta a delicati e diversi interventi e cure riabilitative. Gradualmente, riesce a riacquistare la vista e la voce. Il 3 gennaio 2013, Malala viene dimessa dal Queen Elizabeth Hospital di Birmingham ma il 2 febbraio viene sottoposta ad un intervento ulteriore per la ricostruzione del cranio e il ripristino dell’udito. Questa ragazza ha dovuto attraversare una situazione psicologica e medica difficilissima e oggi vuole comunque rimanere in prima linea, non ha voluto arrendersi, non vuole lasciare sola la gente spaventata dal terrorismo in Pakistan e in tutto il mondo. Lei ha deciso di continuare ad esporsi pubblicamente e non ha affatto dimenticato chi continua a lottare per i propri diritti.

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Con il suo libro, le interviste, il suo impegno difende il diritto all’istruzione, desidera dare forza e voce alle popolazione femminile oppressa. “ I am Malala” è un racconto appassionato, che vuole dare speranza a molte ragazze nel mondo, parla della sua guarigione quasi miracolosa ed è un insegnamento per tutti, soprattutto per coloro che, essendo nati in un paese libero, forse non comprendono a pieno l’importanza di un’istruzione libera da ogni coercizione di stampo religioso e/o politico.
La battaglia di Malala per l’educazione delle bambine è iniziata quando aveva 11 anni, in un momento in cui i talebani agivano e si muovevano apertamente nella valle.

Secondo Ahmed Shah, amico di famiglia ed educatore, a sua volta minacciato di morte per le sue attività a favore dell’istruzione delle bambine, il fatto che gli aggressori della ragazza siano ancora liberi non aiuta. Non saranno mai presi probabilmente, sottolinea, perché raramente la polizia indaga su un incidente se i talebani lo rivendicano. E se indaga, di solito la paura spinge i giudici a rilasciare gli imputati.


Alle accuse o calunnie Malala risponde con spirito forte, coraggioso e combattivo. Lo scorso 11 ottobre ha dichiarato che in futuro le piacerebbe diventare primo ministro del suo Paese. Lo ha detto nel corso di un’intervista alla Cnn. La 16enne  ha specificato che inizialmente avrebbe voluto dedicarsi alla medicina, ma col tempo ha capito che potrebbe aiutare un numero maggiore di persone, diventando premier del Pakistan. E a proposito del premio Nobel per la pace per la quale molti la davano come candidata favorita, ma che poi è andato all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, Malala ha detto che “ha ancora molto da fare prima di meritarsi il Nobel”.

Il divieto della sua autobiografia non fa che confermare la paura per le conseguenze che potrebbe scaturire dal messaggio universale di Malala di pace e tolleranza tra Occidente e Oriente nelle nuove generazioni. Del resto è stata proprio Malala a ricordare nel suo discorso all’Onu che


Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione.

mercoledì 13 novembre 2013

In fuga per tornare a scuola

Pakistan: bambine in fuga dai talebani per tornare a scuola

La famiglia di Nargis viene da Bajaur, uno dei territori delle “aree tribali di amministrazione federale, le cosiddette “FATA”. (...) Le aree tribali sono tra le regioni più conservatrici del Pakistan. Qui gruppi radicali hanno stroncato anche con omicidi ogni moto di emancipazione femminile. Il livello di alfabetizzazione femminile è il più basso del paese e non supera il 5% contro il 34% dei ragazzi.
 
Racconta Nargil:“Quando sono arrivati i talebani, sono arrivati anche gli aerei da guerra. Quando sono cominciati i bombardamenti i talebani se ne sono andati. Quando sono iniziati gli scontri ci siamo messi a pregare. E abbiamo pianto appena sono iniziate a cadere le bombe. Le nostre case sono state distrutte. Quando le ragazze andavano a scuola i talebani sparavano in aria. E’ per questo che io non ci sono andata”.
 
Il padre di Nargis ha ricordi diversi:” I talebani non hanno mai sparato e non hanno mai impedito alle ragazze di andare a scuola. Non volevano fermare l’istruzione femminile. Volevano solo che insegnanti e studentesse indossassero il burqa “. 

Tra il 2008 e il 2010 oltre 4 milioni di persone hanno abbandonato le aree tribali nel Pakistan Nord Occidentale a causa di conflitti interni o della guerra al terrorismo. Parte degli sfollati è arrivata nel campo di Jalozai, vicino a Peshawar. Qui, migliaia di ragazze ricevono per la prima volta l’istruzione che era stata negata loro nelle aree d’origine.

Nargis, come altri nove mila giovani, frequenta ogni giorno una delle 33 scuole del campo di Jalozai. I bambini sono in totale 13.000. La sorpresa è che quasi la metà dei banchi è occupata da ragazze. Un risultato dovuto all’attività dell’Unicef, che gestisce le scuole, e che organizza regolarmente incontri con i genitori e forum di discussione tra famiglie, ragazzi e insegnanti. Il progetto che ha ricevuto quest’anno anche il sostegno dell’Unione europea attraverso i fondi del Nobel per la Pace ricevuto l’anno scorso. 

Deeba Shabnam, UNICEF racconta:“Abbiamo delle difficoltà soprattutto con le ragazze perchè per i genitori l’istruzione non è importante. Provengono da zone dove il matrimonio in età giovanissima è molto diffuso. I bambini si sposano a 9, 10, 12 anni. L’istruzione non ha alcun valore per loro”. 

Tra le insegnanti nel campo di Jalozai anche Sania Gul:“Ho perso i miei genitori, sono orfana. Ho un fratello che studia, è in terza. Lo sto aiutando nel suo percorso, così come aiuto il resto della famiglia. Se non avessi studiato, oggi non potrei aiutare nessuno”. 

Per Nargis:“E’ il momento di imparare ed è importante che l’istruzione sia alla portata di tutti. E’ necessario che anche le ragazze possano un giorno diventare dottoresse o insegnanti. Il mio sogno è di essere un giorno una maestra”. 

“Le famiglie si trovano in un ambiente nuovo” spiega Deeba Shabnam, UNICEF “Hanno la possibilità di mandare i figli a scuola, e hanno accesso a cure di base. Dal momento in cui arrivano nel campo iniziano a capire l’importanza della formazione e diventeranno più consapevoli di questo una volta usciti di qui a quel punto dovranno battersi per continuare a dare un’istruzione ai propri figli”. 

Il padre di Nargis assicura che la sua famiglia sta facendo tutto il possibile per ritornare nelle proprie terre. E in tanti lo hanno già fatto. Nargis, come le altre 4 mila ragazze del campo, potranno un giorno tornare nelle aree tribali con nuove armi per combattere l’ignoranza e la guerra.

martedì 12 novembre 2013

Chi sono i maestri di strada

(fonte: Maestri di Strada)

Maestro di strada è un nome forse coniato a New York, forse in Israele, noi maestri di Napoli lo abbiamo introdotto nell'uso comune per designare in modo efficace un modo di educare diverso a quello in uso nel nostro sistema scolastico ma forse più vicino ai modi originari dei maestri.

Maestro di strada
 
  significa mettersi sulla strada di chi vuole crescere e accompagnarlo (essere dalla sua parte e non di fronte a lui) per mostrargli la strada muovendo i passi per primi o osservandone e guidandone i passi;
 
   significa una disposizione del cuore che è una disposizione amorosa, ossia di cura e gratuità;
 
   significa una disposizione della mente aperta, che cerca di mettersi dal punto di vista di chi apprende, che capisce le emozioni, le ansie, le paure di chi apprende e sa essere rassicurante;
 
   significa una disposizione della persona forte, sufficientemente ferma da contenere le oscillazioni, le debolezze, le crisi di chi sta crescendo;
 
   significa frequentare luoghi aperti, senza reti di protezione, senza divise che ti proteggono,  dove il sapere e la competenza si incontrano e confrontano con le necessità della vita e con la convivenza civile;
 
   significa essere sempre esaminati e messi alla prova da una realtà che noi stessi contribuiamo a creare, quella di una persona autonoma che possiede saldamente la propria vita e la propria identità;
 
  significa infine lavorare perché una relazione così intensa e coinvolgente come quella educativa, abbia un termine e che il suo successo si misuri soprattutto dal modo e dal tempo in cui si conclude.

Tutto questo è stato sperimentato da chi scrive, da alcune decine di insegnanti della scuola pubblica italiana, da alcune decine di educatori professionali, pedagogisti, psicologi nell'ambito di un progetto  della scuola pubblica italiana e di altre istituzioni quali il Comune di Napoli o la Regione Campania che si chiama Progetto Chance.
E' stato sperimentato nelle periferie più degradate della città di Napoli,  nelle zone di guerra della criminalità  organizzata, e sappiamo che è l'unico modo per insegnare  a leggere scrivere far di conto, nel senso alto che questi termini hanno o dovrebbero avere, a giovani altrimenti condannati alla morte civile;  ed è l'unico modo per stabilire un legame con pezzi della società che altrimenti stanno percorrendo una strada che porta loro e noi verso una non-società, verso un ordine sociale basato sulla forza e l'esclusione, piuttosto che sulla convivenza e l'inclusione.

Tutto questo per troppo tempo è stata la mera testimonianza di un gruppo 'eroico', un progetto fra tanti che affollano i margini della scuola italiana; è stato sempre in bilico e dipendente da variabili 'esogene' quali gli umori e le convenienze immediate dei politici, gli umori e le convenienze dei vari gradi della burocrazia ministeriale.
Oggi per il dodicesimo anno consecutivo combattiamo una battaglia per la sopravvivenza che francamente non ci interessa molto, vorremmo invece combattere una battaglia per l'affermazione forte di una politica con i giovani che dovrebbe aiutare a migliorare la nostra società valorizzando appieno questa ricchezza piuttosto che occuparcene e male come problema. E' per questo motivo, che su sollecitazione di molti amici mi sono deciso ad aprire questo blog e spero di rendere un buon servizio alla causa che condivido con molti altri.
Sito della Associazione Maestri di Strada
Sito del Progetto Chance
Sito delle attivita' didattiche personli

lunedì 30 settembre 2013

Adolescenti e stereotipi di genere

Stereotipa è un progetto dell'UDI - Unione Donne in Italia nato circa due anni fa per contrastare gli stereotipi uomo-donna nella pubblicità (soprattutto quelli sessisti) e poi esteso a più largo raggio, con un sondaggio tra 130 adolescenti di alcuni istituti superiori di Catania, per studiare la concezione che questi hanno dei rapporti di genere, e provare a contrastarne gli stereotipi.
Gli stereotipi riferiti alla mascolinità e alla femminilità, infatti, non si limitano a trasmettere modelli consolidati ma alimentano aspettative e pretese rispetto ai comportamenti che donne e uomini dovrebbero tenere, assumendo una funzione normativa che opera, molto spesso, nella generale inconsapevolezza di scuola, famiglia e media.
"Così nel 2012 abbiamo dato vita a Stereotipa, un progetto comune per una cittadinanza di genere non discriminatoria, che si incrocia con la campagna UDI Città libere dalla pubblicità lesiva della dignità delle donne", spiega Adriana Laudani dell'UDI di Catania.

"L'indagine non ha valore statistico e solo per 114 studenti è stato possibile analizzare le risposte" spiega Graziella Priulla, docente di sociologia dei processi culturali presso l'Università di Catania, autrice del manuale per le scuole C'è differenza (FrancoAngeli). "Non è una dunque ricerca campionaria, anche perché l'abbiamo condotta solo nelle scuole disponibili: è un piccolo spaccato, verosimile, di una realtà adolescenziale".

"Siamo abituate a lavorare in rete, ovvero attraverso relazioni costruite nel tempo con insegnanti della scuola e dell'università e con tante associazioni" spiega Laudani.
"Per questo è stato naturale cercare e trovare l'aiuto prezioso del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Catania e coinvolgere alcune Scuole superiori della città, all'interno delle quali avevamo già avviato dei percorsi sul tema della violenza di genere (due licei socio-psico-pedagogici, un liceo classico, un istituto tecnico commerciale. L'indagine è stata rivolta agli studenti delle ultime classi dei rispettivi corsi di studio e si è rilevata assai interessante, se pure limitata. Interessante non solo per le domande poste, ma ancor più per le possibili risposte consentite. Limitata per il numero dei questionari restituiti e considerati validi: oltre cento (55 studentesse e 59 studenti). Credo si possa dire che anche i questionari "bruciati" hanno un significato, poiché segnalano le resistenze e le difese opposte dagli intervistati a fronte della difficoltà ad affrontare il tema".

"Solo se indotti esplicitamente a rifletterci su", spiega Priulla, "gli adolescenti sono disposti a prendere in esame il tasso di "stereotipia delle loro convinzioni". In questo caso, accettano di discuterne, di smontarle magari, anche se la reazione "è sempre stato così", oppure "tutti la pensano così" è molto diffusa. "I maschi sono più attaccati alle idee che giudicano "ovvie" (compreso il fatto che molte donne violentate "se la siano andata a cercare"), mentre le ragazze mi sono parse più abituate a problematizzarle, e comunque le ritengono meno scontate", continua Priulla.
"Non si tratta ovviamente solo di parole. Le abitudini diffuse fanno registrare un certo regresso culturale, databile da almeno un decennio a questa parte. Non è ad esempio inusuale che "lui" impedisca a "lei" di fare qualcosa: uscire da sola o frequentare amici, vestirsi in modo appariscente, viaggiare o fare gite, ecc. Mi è accaduto anche di conoscere studentesse che non vengono più all'università "perché il mio fidanzato non vuole". È  la loro passività, a stupirmi; il loro terrore della solitudine ("se no mi lascia"); la loro gratificazione della gelosia, anche ossessiva".

Alla domanda "Quali sono gli insulti adatti per una donna?", sia le ragazze che i ragazzi, nello stesso numero (33 e 32), hanno risposto "troia, mignotta e puttana". 
Lo stereotipo relativo all'uso mercificato del corpo delle donne, alla trasgressione sessuale da parte delle stesse è del tutto evidente. Ma ciò che più sorprende è il fatto che tale stereotipo accomuni giovani donne e uomini, in ragione del suo profondo radicamento.
La stessa domanda, riferita agli uomini, vede risposte che attengono essenzialmente alle loro capacità intellettuali: "Coglione, stupido", o relazionali, come "bastardo, stronzo, egoista"; solo 5 ragazzi e nessuna ragazza fanno riferimento alla vita sessuale dei maschi, utilizzando quale insulto "frocio".

"Non solo gli insulti rivolti a una donna sono ancora legati unicamente al suo comportamento sessuale, ma questo accade in modo indifferenziato nel linguaggio dei giovani uomini e in quello delle giovani donne" continua Priulla. "Anche queste ultime non si sentono a disagio, nel definire usualmente "puttana" o "troia" un'altra donna. Ed emerge anche che, ancora nel terzo millennio, l'educazione ricevuta in casa, dalle madri, percorre il doppio binario: i maschi ad esempio sono di norma esentati dai lavori domestici, e non passa loro per il cervello che sia giusto che se uno sporca un piatto poi lo lavi". Un'altra domanda, attraverso le risposte, conferma infatti il permanere di uno stereotipo assai antico che si riferisce alla rigida divisione dei ruoli tra i due sessi: "Quante volte alla settimana lavi i piatti?". Il 50% delle ragazze intervistate ha risposto da 2 a 4, una buona parte tutti i giorni, solo alcune hanno detto di non lavarli mai. I due terzi dei ragazzi, indignati, hanno risposto "Mai"!

"Direi che mi ha dolorosamente sorpresa, o forse no, il senso di solitudine e di insicurezza che ho letto dietro le risposte date dai giovani uomini alla domanda (aperta) ho paura di", confessa Laudani. "La maggioranza dei ragazzi ha detto di temere il futuro e, subito dopo, il giudizio degli altri. Di fronte a questi timori cede quello di "perdere le persone che amo" e anche quello di morire. Non sono una specialista, ma da madre di figli maschi penso che insicurezza e solitudine, insieme al grande bisogno di riconoscimenti esterni, costituiscano per gli uomini il terreno di cultura per comportamenti possessivi e violenti contro le donne, che vengono facilmente vissute quale luogo di una conferma di potenza che non può essere loro negata, pena anche la morte. Non è forse un caso che alla domanda, anche questa aperta, "come ti senti quando esci da sola?", 10 donne abbiano risposto "non mi capita mai", 9 "ho paura", 7 "sto attenta". Questa sembra essere la zona nera e pericolosa per le donne: solo 7 hanno risposto "sono spensierata".

Le famiglie quindi, non sempre si fanno carico dell'educazione dei figli: anzi. L'ultima salvezza resta la scuola. "Ci sono docenti molto attive, esperienze molto positive, ma non è usuale parlare a scuola di queste cose, prenderne spunto per definire i concetti di differenza e di disuguaglianza, di parità e di pari opportunità. Di rado si nominano le differenze di genere, si esaminano le relazioni e i ruoli. È più facile far finta che gli esseri presenti in aula siano asessuati.
D'altronde, anche per quanto riguarda le conoscenze disciplinari, si trasmette ancora un sapere che si pretende neutro, quel falso neutro che in realtà è un maschile (nella grammatica: non è facile diffondere l'uso di "ministra", viene ritenuto sbagliato dire "la giudice"; nella storia: si dice che c'era il "suffragio universale" quando votavano solo i maschi ... ecc.)".

Le esperte dell'Udi hanno dunque proposto al Comune di Catania di farsi promotore di un piano di educazione di genere nelle scuole e il Sindaco ha accolto la richiesta: "Abbiamo ottenuto che l'ateneo inserisca, dal prossimo anno accademico, gli Studi di genere nei curricula. Sembrano passi molto piccoli, ma ci è voluto un sacco di tempo per farli. E di fatica", afferma Priulla. "È insopportabile vivere in un Paese il cui calendario è scandito quasi ogni giorno dal nome di una donna uccisa da un uomo con il quale ha condiviso un pezzo di vita. Da questo sentimento, da questo dolore è nata, tra noi donne dell'UDI di Catania, la determinazione di declinare in tanti progetti la volontà della nostra associazione e di assumere la battaglia contro il femminicidio come la  "priorità" e come responsabilità personale e politica di tutte", conclude Laudani. "Sappiamo bene che di fronte ai tanti corpi di donne martoriate le parole non bastano, per questo ricerchiamo azioni e gesti concreti ed efficaci, che divengono la nostra pratica politica quotidiana. Dentro questa riflessione è maturata la consapevolezza del ruolo che gli stereotipi di genere giocano sul terreno culturale e sociale".

domenica 29 settembre 2013

Kumari, la bambina-dea

Kumari Devi: la dea vivente dalle sembianze di una bambina abita in Nepal

Il Nepal è il paese dove si trovano le montagne più alte del mondo, ma e’ anche il regno della dea Kumari, una dea vivente dalle sembianze di una bambina, nata da una famiglia buddista ma venerata anche dagli induisti.

In questo paese himalaiano si pratica ancora l’antica tradizione di venerare la Kumari (o Kumari Devi): una bambina, non ancora adolescente, che si crede sia la reincarnazione della dea Taleju (o Durga). Il termine ‘Kumari’ deriva dal Sanskrito Kaumarya e significa ‘vergine’, ovvero una giovane non sposata. La Kumari è solitamente venerate sia da alcuni gruppi di induisti e buddisti.

Kumari non si nasce, ma si diventa! Infatti, vi è un rigoroso processo di selezione tra le bambine d’età compresa tra i 4 e i 7 anni appartenenti alla comunità Saakya, una casta di religione buddista appartenente alla più vasta comunità dei Newar, oltre ad essere il clan al quale, si dice, appartenesse Buddha.
I requisiti minimi che l’aspirante Kumari deve avere sono soprattutto quelli di godere di una salute di ferro, non aver mai contratto alcuna malattia e avere ancora tutti i denti. La scelta viene compiuta seguendo un particolare oroscopo e in base a ben 32 attributi di perfezione (battis lakshanas), tra cui il colore degli occhi, la forma dei denti o addirittura il suono della voce. Le bambine che corrispondono a questi attributi vengono condotte in una stanza buia dove si svolgono dei rituali tantrici terrificanti. La bambina che rimarrà calma e imperturbata, dando segni di serenità, sarà scelta come la futura Kumari e preparata per i rituali.
Si crede infatti che, dopo alcune cerimonie di purificazione, lo spirito della dea Taleju entri nel corpo della bambina prescelta, per cui le verrà dato il titolo di Kumari Devi e da quel momento sarà venerata in tutte le occasioni religiose. La bambina abiterà nella residenza delle Kumari, chiamata ‘Kumari Ghar’, che si trova nella piazza del palazzo di Hanumandhoka, una zona centrale di Kathmandu. La Kumari officerà quotidianamente dei rituali e non lascerà la sua nuova residenza se non per eventi particolari e situazioni ben precise.

Un appuntamento importante nella vita delle Kumari e rappresentato della festività dell’Indra Jatra (la festa del dio della pioggia) che si celebra solitamente nel mese di settembre. In questa occasione, la piccola dea Kumari, propriamente adornata per l’occasione, viene condotta in una processione religiosa per alcune strade della città di Katmandu. Questa ricorrenza annuale è solitamente attesa da tantissima gente, che si raduna nella capitale per vedere la dea vivente e ottenere la sua benedizione. Nel passato, la tradizione voleva che la dea Kumari benedicesse sua maestà il Re del Nepal. Infatti, la Kumari, proprio per i suoi poteri soprannaturali, era l’unica persona verso la quale il re s’inchinasse.   

L’esperienza terrena della dea Taleju nelle sembianze (e nel corpo in prestito) della bambina terminerà con l’arrivo della pubertà, dopodiché si crede che la dea abbandoni il corpo della bambina. A quel punto si scatenerà una ricerca assidua per individuare la prossima Kumari. Per via dell’assiduità e difficolta della ricerca, alcuni esperti hanno comparato la ricerca della futura Kumari al processo d’individuazione e selezione della reincarnazione del Dalai Lama in Tibet.

In passato, le piccole Kumari non ricevevano alcuna educazione poiché si pensava che fossero omniscienti. Tuttavia, questa pratica è cambiata con il tempo e oggi anche le Kumari e ricevono un’educazione, soprattutto in vista del loro rientro nella società.

Molti sono i dibattiti e i dubbi intorno a questa pratica, soprattutto circa la potenziale violazione del diritto di queste bambine ad una infanzia normale, passata giocare con gli altri bambini senza aver paura di farsi male o ammalarsi per paura che lo spirito della dea possa lasciare il corpo.

giovedì 12 settembre 2013

Malala prosegue con il suo obiettivo


Innanzitutto, congratulazioni a Malala Yousafzai, che finalmente ha ricevuto il premio  2013 International Children's Peace Prize in The Hague.
Lei, con fermezza nel suo proposito, ha promesso di continuare la campagna per l'educazione delle ragazze "così che tutte le ragazze nel mondo possano avere il diritto ad andare a scuola". 
A consegnarle il premio è stata la già premiata Nobel  توكل كرمان Tawakkol Karman che le ha detto: "Malala tu sei la mia eroina!".

Leggi di più su: http://www.abc.net.au/news/2013-09-07/pakistani-girl-shot-by-taliban-speaks-at-the-hague/4942494

E infatti Malala è davvero un'eroina a livello mondiale! Sono in molti, fra adulti e bambini, a sosterla e aiutarla a mantenere la sua promessa. Così si è potuta rendere disponibile e solidale attraverso il web con tutti coloro che hanno bisogno di sentire la forza delle sue ragioni e chiedono il suo supporto. E con tutti coloro che hanno portato avanti il suo esempio o che cercano di farlo, come nel caso di queste bambine siriane che da quando è in atto il duro conflitto nel proprio paese, non sono potute più andare a scuola.




 "Io vi supporto pienamente. Siete molto coraggiose. Credo che avrete la vostra educazione, che andrete a scuola, e che nessuno vi può fermare", ha detto loro in questa chiamata video. 

Questo è quello che #Malala aveva da dire, via Skype, a Zahra e Om Kolthoum, #childrenofsyria che stanno recuperando terreno sulla formazione dopo essere state fuori dalla scuola per mesi. Hanno vissuto in Libano per un anno dopo essere state costrette alla fuga dalla loro casa di Aleppo. Entrambe le ragazze  ora frequentano le classi, sostenute dall'UNICEF a livello locale-RUN.

Read about Malala’s chat here: http://uni.cf/17TMeRT