lunedì 19 ottobre 2015

Il discorso di Malala

in occasione della consegna del Premio Nobel per la Pace
 
 
Vostre Maestà, illustri membri del comitato per il Nobel, cari fratelli e sorelle, oggi è un giorno di grande gioia per me, sono onorata che il comitato del Nobel mi abbia scelto per questo prezioso premio. Grazie a tutti per il vostro sostegno duraturo e per l’affetto. Sono grata per le lettere che ricevo da tutto il mondo. Leggere le vostre parole cordiali di incoraggiamento mi rafforza e mi ispira.
Vorrei ringraziare i miei genitori per i loro amore incondizionato.
Grazie a mio padre per non aver tarpato le mie ali e avermi lasciato volare. Grazie a mia madre per avermi insegnato a essere paziente e a dire sempre la verità – quello che crediamo essere il vero messaggio dell’Islam.
Sono molto orgogliosa di essere la prima pashtun, la prima pachistana e la prima giovane a ricevere questo premio. Sono abbastanza sicura di essere anche la prima vincitrice del Nobel che ancora litiga con suo fratello minore. Vorrei che ci fosse pace ovunque, ma io e i miei fratelli abbiamo ancora del lavoro da fare su quel fronte.

Sono onorata anche di ricevere questo premio con Kailash Satyarti, che è stato un campione dei diritti dei bambini per parecchi anni. A dirla tutta, il doppio degli anni che ho io adesso. Sono grata del fatto che possiamo essere qui insieme e mostrare al mondo che un’indiana e un pachistano possono stare insieme in pace e lavorare insieme per i diritti dei bambini.

Cari fratelli e sorelle, i miei genitori mi hanno dato il nome della “Giovanna d’Arco” pashtun, Malalai di Maiwand. La parola Malala vuol dire “colpita da un lutto”, “triste”, ma per aggiungere allegria al nome i miei genitori mi chiamano sempre “Malala, la ragazza più felice del mondo” e sono molto felice che insieme stiamo sostenendo una causa importante.

Questo premio non è solo per me. È per i bambini dimenticati che vogliono un’istruzione. È per i bambini spaventati che vogliono la pace. È per i bambini senza voce che vogliono il cambiamento. Sono qui per i loro diritti, per dare loro voce… Non è il momento di averne compassione. È il momento di agire, per fare in modo che sia l’ultima volta che a dei bambini è sottratta l’istruzione.

Ho notato che le persone mi descrivono in molti modi. Alcuni mi chiamano la ragazza cui i talebani hanno sparato. Alcuni la ragazza che ha combattuto per i suoi diritti. Altri, ora, mi chiamano la premio Nobel. Per quanto ne so io, sono sono una persona impegnata e testarda che vuole che ciascun bambino abbia un’istruzione di qualità, che vuol pari diritti per le donne, che vuole la pace in ogni angolo del mondo.

L’istruzione è una delle benedizioni della vita – e una delle sue necessità. Me lo dice l’esperienza dei miei 17 anni di vita. A casa mia nella valle di Swat, nel nord del Pakistan, ho sempre amato la scuola e imparare cose nuove. Ricordo quando io e i miei amici ci decoravamo le mani con gli henna (decorazioni floreali, ndr) per le occasioni importanti. Invece di disegnare dei fiori e motivi geometrici, usavamo le formule matematiche e le equazioni.

Avevamo sede di conoscenza perché il nostro futuro era lì, in classe. Ci sedevamo e studiavamo e imparavamo insieme. Adoravamo indossare i nostri grembiuli puliti e stare lì seduti con grandi sogni negli occhi. Volevamo rendere orgogliosi i nostri genitori e dimostrare che potevamo eccellere negli studi e ottenere cose che secondo alcuni solo i ragazzi possono fare.

Le cose sono cambiate. Quando avevo dieci anni Swat, un posto di bellezza e turismo, è diventato improvvisamente
un luogo di terrore. Più di 400 scuole sono state distrutte. Alle ragazze è stato impedito di andare a scuola. Le donne sono state picchiate. Innocenti sono stati uccisi. Tutti abbiamo sofferto. I nostri bei sogni sono diventati incubi. L’istruzione da diritto e diventato crimine.
Ma quando il mondo è cambiato, anche le mie priorità sono cambiate. Avevo due opzioni. Stare zitta e aspettare di venire uccisa. O parlare e venire uccisa. Ho deciso di parlare. I terroristi hanno provato a fermarci e il 9 ottobre del 2012 hanno attaccato me e i miei amici. Ma i loro proiettili non potevano vincere. Siamo sopravvissuti. E da quel giorno le nostre voci si sono fatte più forti.

Racconto la mia storia non perché sia unica, ma perché non lo è. È la storia di molte ragazze. Oggi racconto anche le loro storie. Ho portato con me a Oslo alcune delle mie sorelle, che condividono la mia storia: amiche dal Pakistan, la Nigeria e la Siria. Le mie coraggiose sorelle Shazia e Kainat Riaz che quel giorno a Swat sono state colpite dai proiettili con me. Anche loro hanno attraversato un tragico trauma. E la mia sorella Kainat Somro dal Pakistan, che ha sofferto violenze estreme e abusi, fino all’uccisione di suo fratello, ma non ha ceduto.

E ci sono ragazze come me, che ho incontrato durante la campagna per il Fondo Malala, che oggi sono come sorelle per me: la mia coraggiosa sorella sedicenne Mezon, dalla Siria, che oggi vive in Giordania in un campo profughi e va di tenda in tenda per aiutare i bambini a studiare. E la mia sorella Amina, dal nord della Nigeria, dove Boko Haram minaccia e rapisce le ragazze, solo perché chiedono di andare a scuola.

Potrò sembrarvi una sola ragazza, una sola persona, per di più alta neanche un metro e sessanta coi tacchi. Ma non sono una voce solitaria: io sono tante voci. Sono Shazia. Sono Kainat Riaz. Sono Kainat Somro. Sono Mezon. Sono Amina. Sono quei 66 milioni di ragazze che non possono andare a scuola.

La gente spesso mi chiede perché l’istruzione sia così importante per le ragazze. Rispondo sempre la stessa cosa. Dai primi due capitoli del Corano ho imparato la parola Iqra, che vuol dire “leggere”, e la parola nun wal-qalam, che vuol dire “con la penna”. Per questo, come ho detto lo scorso anno alle Nazioni Unite, «un bambino, un maestro, una penna e un libro possono cambiare il mondo».

Oggi in mezzo mondo vediamo rapidi progressi, modernizzazione
e sviluppo. Ma ci sono paesi dove milioni di persone soffrono ancora dai vecchi problemi della fame, della povertà, delle ingiustizie, dei conflitti. In questo 2014 ci viene ricordato che è passato un secolo dalla prima guerra mondiale, ma ancora non abbiamo imparato la lezione che ci viene dalla morte di quei milioni di vite cent’anni fa.
Ci sono ancora guerre in cui centinaia di migliaia di innocenti perdono la vita. Molte famiglie sono diventate profughe in Siria, a Gaza, in Iraq. Ci sono ancora ragazze che non sono libere di andare a scuola nel nord della Nigeria. In Pakistan e in Afghanistan vediamo persone innocenti che muoiono in attacchi suicidi ed esplosioni di bombe. Molti bambini in Africa non hanno accesso all’istruzione per la povertà. Molti bambini in India e in Pakistan sono deprivati del loro diritto all’istruzione per tabù sociali, o perché sono stati costretti a lavorare o, le bambine, a sposarsi.

Una delle mie migliori amiche a scuola, della mia stessa età, è sempre stata una ragazza coraggiosa e fiduciosa: voleva diventare medico. Ma il suo sogno è rimasto un sogno. A 12 anni è stata costretta a sposarsi e ha avuto un figlio quando era lei stessa ancora una bambina, a quattordici anni. Sono sicura che sarebbe stata un ottimo medico. Ma non ha potuto diventarlo, perché è una ragazza.

La sua storia è il motivo per cui devolvo i soldi del premio Nobel al Fondo Malala, per aiutare le ragazze di tutto il mondo ad avere un’istruzione di qualità e per fare appello ai leader ad aiutare le ragazze come me, Mezun e Amina. Il primo luogo dove andranno i soldi e il paese dove sta il mio cuore, il Pakistan, per costruire scuole, specialmente a Swat e Shangia.

Nel mio villaggio non c’è ancora una scuola superiore per ragazze. Voglio costruirne una, perché i miei amici possano avere un’istruzione – e con essa l’opportunità di raggiungere i loro sogni. Comincerò da lì, ma non mi fermerò lì. Continuerò questa battaglia finché ogni bambino non avrà una scuola. Mi sento più forte dopo l’attacco che ho subito, perché so che nessuno può fermarmi, fermarci, perché siamo milioni e siamo uniti.

Cari fratelli e sorelle, le grandi persone che hanno realizzato dei cambiamenti – come Martin Luther King e Nelson Mandela, Madre Teresa e Aung San Suu Kyi – un giorno hanno parlato da questo palco. Spero che anche i passi intrapresi da me e da Kailash Satyarti finora, e quelli che ancora intraprenderemo
, possano realizzare un cambiamento, e un cambiamento duraturo.
La mia grande speranza è che questa sia l’ultima volta che dobbiamo combattere per l’istruzione dei bambini. Chiediamo a tutti di unirsi e sostenerci nella nostra battaglia, per poter risolvere questa situazione una volta per tutte. Come ho detto, abbiamo già fatto molti passi nella giusta direzione. Ora è il momento di fare un balzo in avanti.

Non serve dire ai leader quant’è importante l’istruzione: lo sanno già, i loro figli sono nelle migliori scuole. È ora di dirgli che devono agire, adesso. Chiediamo ai leader del mondo di unirsi e fare dell’istruzione
la loro priorità numero uno.
Quindici anni fa i leader del mondo decisero di fissare dei traguardi globali, i Millennium Development Goals. Nei prima anni successivi abbiamo visto dei progressi. Il numero di bambini esclusi da scuola è stato dimezzato. Ma il mondo di concentrò solo sull’istruzione
primaria, e i miglioramenti non toccarono tutti.
L’anno prossimo, nel 2015, rappresentati di tutti i paesi si vedranno alle Nazioni Unite per fissare dei nuovi traguardi, i Sustainable Development Goals. Sarà l’occasione per fissare le ambizioni della prossima generazione. I leader devono cogliere quest’opportuni
tà per garantire un’istruzione primaria e superiore gratuità e di qualità a ciascun bambino. Alcuni dicono che sia poco fattibile, o troppo costoso, o troppo difficile. O persino impossibile. Ma è il momento che il mondo pensi in grande.
Cari fratelli e sorelle, il cosiddetto mondo degli adulti può anche capire queste obiezioni, noi bambini no. Perché nazioni che chiamiamo grandi sono così potenti nel provocare guerre, ma troppo deboli per la pace?Perché è così facile darci una pistola, ma così difficile darci un libro? Perché è così facile costruire un carrarmato, ma costruire una scuola è così difficile?

Viviamo nel mondo moderno, nel ventunesimo secolo, e crediamo che nulla è impossibile. Possiamo raggiungere la luna, forse a breve atterreremo su Marte. Per questo, in questo ventunesimo secolo, dobbiamo essere determinati a far realizzare il nostro sogno di un’istruzione di qualità. Realizziamo uguaglianza, giustizia e pace per tutti. Non solo i politici e i leader del mondo, ma tutti dobbiamo fare la nostra parte. Io. Voi. È nostro dovere.

Dobbiamo metterci al lavoro, non aspettare. Chiedo ai ragazzi come me di alzare la testa, in tutto il mondo. Cari fratelli e sorelle, diventiamo la prima generazione a decidere di essere l’ultima: classi vuote, infanzie perdute, potenziale perduto, facciamo in modo che queste cose finiscano con noi.

Che sia l’ultima volta che un bambino o una bambina spendono la loro infanzia in una fabbrica.
Che sia l’ultima volta che una bambina è costretta a sposarsi.
Che sia l’ultima volta che un bambino innocente muore in guerra.
Che sia l’ultima volta che una classe resta vuota.
Che sia l’ultima volta che a una bambina viene detto che l’istruzione è un crimine, non un diritto.
Che sia l’ultima volta che un bambino non può andare a scuola.

Diamo inizio a questa fine. Che finisca con noi. Costruiamo un futuro migliore proprio qui, proprio ora. Grazie.
 
Qui il video con sottotitoli in italiano: https://www.youtube.com/watch?v=VZjewYypLxk

venerdì 9 ottobre 2015

Io qui sono la maestra!


"Sono Baraa Antar. Ho 10 anni.
Io qui sono l'insegnante per i bambini.
Sto insegnando quello che ho imparato nella mia prima classe a scuola.Vengo da Ghouta, un sobborgo di Damasco, Siria, dove vivevo con la mia famiglia al piano terra di un condominio. Poiché mi piace stare da sola ho avuto una camera da letto per me.
Ma è diventato molto spaventoso per le strade. Il nostro edificio era vicino all'ospedale Al Fateh ed era sotto il fuoco dell'esercito og
ni giorno. Tutto nel nostro quartiere è stato distrutto. Compreso il nostro edificio. Siamo fuggiti dalla casa e non avevamo tempo di prendere qualcosa con noi.
Grazie a mio zio Ahmad, che è il capo di un piccolo campo rifugiati in Libano, potemmo andare lì. Altrimenti ora vivremmo per strada.


Quando mi sono un po' abituata alle cose qui nel campo ho notato che tutti i piccoli bambini giocavano tutto il giorno. Ma poiché non c'era la scuola non stavano imparando nulla. Poi il mio amico Nijameh e io abbiamo avuto l'idea di iniziare la nostra propria scuola. Le rocce
divennero sedie e un pezzo di cartone divenne la lavagna. E noi siamo gli insegnanti.

La mattina c'è scuola e facciamo a turno lezioni di matematica e di lingua. E nel pomeriggio siamo impegnati con i preparativi per le lezioni del giorno successivo. Ai bambini piace molto venire alla nostra scuola. Ma quello che mi manca molto, non è non essere in grado di andare a scuola io stessa, perché non c'è una vera e propria scuola. Come insegnante ho bisogno di avere qualche conoscenza in più della mia. "
fonte:
http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2015/01/16/anni-maestra-piu-giovane-del-mondo-insegna-profughi-libano_2UyIBok6toFMZNri9E3EfJ.html

venerdì 2 ottobre 2015

Cari studenti, sono un’insegnante e vi chiedo scusa

Lizanne Foster è un’insegnante canadese e ha scritto questo articolo sul suo blog. Dopo aver ricevuto decine di messaggi dagli studenti italiani, ha risposto con un’altra lettera.
 
Cari studenti delle superiori del ventunesimo secolo,
la settimana prossima comincerà un nuovo semestre e mi sento costretta a chiedervi scusa. Nonostante tutti i nostri sforzi, noi insegnanti non siamo riusciti a persuadere quelli che hanno il potere politico a cambiare il nostro sistema educativo. A quanto sembra, non siamo capaci di convincere il nostro premier che investire sulla vostra istruzione andrebbe a vantaggio di tutti noi e non inquinerebbe né l’acqua né l’aria.
Perciò, finché i vostri bisogni educativi non prevarranno su quelli delle multinazionali straniere, vi prego di accettare le mie scuse. 

Mi dispiace che dobbiate venire a scuola così presto la mattina, anche se varie ricerche nel campo delle neuroscienze hanno appurato che il cervello degli adolescenti non funziona in modo ottimale prima delle dieci. 

Mi dispiace che dobbiate chiedermi il permesso di uscire dalla classe per andare a fare pipì anche se avete già la patente, un lavoro part-time e state prendendo decisioni importanti per il vostro futuro dopo la scuola. 

Mi dispiace che ogni giorno siate costretti a stare seduti per sei ore anche se molti studi hanno dimostrato che stare seduti troppo a lungo danneggia sia le capacità cognitive sia la salute. 

Mi dispiace che siate divisi per età e costretti a procedere attraverso il sistema scolastico con i vostri coetanei come se l’età anagrafica avesse qualcosa a che vedere con l’intelletto, la maturità, le competenze o l’abilità. 

Mi dispiace che quelli di voi che incontrano difficoltà a scuola non ricevano il giusto sostegno perché finanziare i vostri bisogni non è tra le priorità dell’attuale politica economica. 

Mi dispiace che dobbiate studiare materie che non vi interessano in un’epoca in cui la somma totale delle conoscenze umane raddoppia ogni dodici mesi. 

Mi dispiace che vi facciano credere che per ottenere il massimo dei voti dovete competere tra voi, quando i progressi umani sono sempre stati frutto di una collaborazione che spesso a scuola viene considerata “imbrogliare”. 

Mi dispiace che siate costretti a usare dei libri di testo che contengono informazioni superate e troviate a scuola tecnologie obsolete della cui manutenzione nessuno si occupa. 

Mi dispiace che quello che chiamano insegnamento personalizzato in realtà non lo sia affatto. L’insegnamento veramente personalizzato costa troppo, lo capite? 

Mi dispiace che sia improbabile che la Strategia innovativa, la riforma scolastica della British Columbia tanto strombazzata dal governo attuale, produca cambiamenti significativi a parte un nuovo modo per calcolare quello che si fa a scuola. 

Ma, soprattutto, mi dispiace che il sistema educativo vi costringa a far parte di un’economia estrattiva quando il nostro ambiente, senza il quale non ci sarebbe nessuna economia, sta subendo una crisi climatica che ci imporrà una rapida riconfigurazione di tutto quello che stiamo facendo in campo sociale, politico ed economico, e per la quale siamo del tutto impreparati. 

Mi dispiace moltissimo. 

Vorrei che la vostra curiosità non fosse soffocata dal conformismo scolastico. 

Vorrei avere una bacchetta magica per darvi il tipo di scuola in cui ci sono spazi per analizzare ed esplorare, sperimentare e apprendere in modo diverso. 

Vorrei avere il potere di riaccendere la passione e il desiderio di imparare che leggo nei vostri occhi prima che entriate a scuola. 

Vorrei potervi aiutare a ricordare che prima di essere studenti eravate scienziati che sperimentavano, scoprivano, si ponevano domande e facevano collegamenti
Eravate anche poeti… vi ricordate quanto divertiva e sorprendeva gli adulti intorno a voi il modo in cui descrivevate le cose?

Siete nati per imparare. Non potete non imparare. 

Mi dispiace che vi facciano credere che l’unico apprendimento che conta sia quello che avviene a scuola. Anzi, poi, solo quello che avviene in classe. E nemmeno conta tutto quello che si impara in classe: alla fine conta solo quello che troverete nei test. 

Vorrei potervi portare in altri posti dove il sistema educativo pubblico è una priorità di politici convinti che la futura società del loro paese dipenderà dalle caratteristiche del sistema educativo.
In un’epoca in cui la nostra vita dipende dall’ingegnosità nel risolvere i problemi più difficili, sprechiamo le potenzialità che ha la nostra mente di trovare soluzioni creative. L’adolescenza è il periodo in cui gli esseri umani raggiungono il culmine del loro sviluppo cognitivo. Le prove della vostra capacità di pensare “fuori degli schemi” e di trovare soluzioni creative sono ovunque intorno a noi. 

Vorrei poter mostrare alle autorità ciò che dovrebbero vedere per rendersi conto di quello che siete capaci di fare, se solo ve ne dessero la possibilità.
Se solo… 

Con sincero affetto.
Un’insegnante 

(Traduzione di Bruna Tortorella)

fonte internazionale.it 

lunedì 17 agosto 2015

L'adolescenza di Anne Frank

Questa è l'ultima parte del diario di un'adolescente che ha vissuto uno dei periodi più orribili del nostro secolo.


foto di Un ponte per Anne Frank.

 

Martedì 1° agosto 1944

Cara Kitty,
“una contraddizione ambulante” è l’ultima frase della mia lettera precedente e la prima di questa odierna. “Contraddizione”, sai spiegarmi esattamente che cos’è? Come tante parole, anche questa ha due significati: contraddizione dal di fuori e dal di dentro.
La prima vuol dire non accettare le opinioni degli altri, volerla sapere più lunga, avere l’ultima parola, insomma, sono tutte caratteristiche negative per le quali sono ben nota; per la seconda invece non sono famosa, è il mio segreto.
Ti ho già raccontato altre volte che la mia anima è come se fosse divisa in due parti. La prima alberga la mia allegria sfrenata, le continue prese in giro, la gioia di vivere e soprattutto il fatto di vedere il lato positivo in tutte le cose. Con questo voglio dire che non ci trovo niente di male in un flirt, in un bacio, un abbraccio, una battuta spinta. Questo lato di solito sta in agguato e caccia via l’altro che è molto più bello, puro e profondo. Non è vero che il lato buono di Anne non lo conosce nessuno e proprio per questo così pochi riescono a sopportarmi? Certo, sono un pagliaccio divertente per un pomeriggio, ma poi tutti ne hanno abbastanza di me per tutto un mese. ecco, sono proprio come uno di quei film romantici è per le persone serie, semplicemente un diversivo, svago per una volta, qualcosa da dimenticare presto, non tanto brutto, ma ancora meno bello. Mi fa uno strano effetto doverti raccontare questo, ma perché non dovrei farlo, visto che so che è la verità? Il lato più leggero e superficiale di me supererà sempre quello più profondo, quindi prevarrà sempre. Non puoi nemmeno immaginare quante volte ho già provato a spingere via, a nascondere questa Anne, che è solo la metà di tutto quello che si chiama Anne, ma non ci riesco e so anche perché.

Ho molta paura che tutti coloro che mi conoscono come sono sempre, debbano scoprire che ho anche un altro lato, un lato più bello e più buono. Ho paura che mi prendano in giro, che mi trovino ridicola, sentimentale, e non mi prendano sul serio. Sono abituata a non essere presa sul serio, ma soltanto la Anne “superficiale” ci è abituata e lo può sopportare, la Anne più “profonda” invece è troppo debole.
Le volte che riesco effettivamente a far venir fuori per un quarto d’ora la Anne buona, lei si ritrae come una mimosa appena deve parlare, cede la parola alla Anne n° 1 e, prima che me ne renda conto, sparisce.
In compagnia la Anne non si è mai fatta vedere, neppure una volta, mentre quando sono sola è lei a prevalere. So benissimo come vorrei essere e come sono… di dentro, ma purtroppo sono così esclusivamente per me stessa. E questo forse, no, sicuramente, è il motivo per cui dico di avere una natura interiore allegra, mentre gli altri trovano che io sia allegra esteriormente. Dentro la Anne pulita mi indica la via, fuori non sono altro che una capretta scatenata che cerca di liberarsi. Come dicevo, avverto tutto in modo diverso da come lo esprimo, per questo sono stata definita cacciatrice di uomini, civetta, sapientona e lettrice di romanzetti.

L’Anne allegra ride, risponde in modo insolente, si scrolla le spalle con indifferenza, si comporta come se non gliene importasse niente, e invece la Anne silenziosa reagisce in modo opposto. Per essere del tutto sincera voglio confessarti che mi dispiace, che faccio sforzi indicibili per cambiare, ma che mi trovo a combattere contro eserciti sempre più forti.
Tra me sospiro: - Guarda che cosa ne è di te: brutte opinioni, espressioni sarcastiche e costernate, persone che ti trovano antipatica, e questo solo perché non ascolti i buoni consigli della tua metà buona. Oh, vorrei tanto ascoltarli, ma non riesco. Se sono silenziosa e seria tutti pensano che sia uno scherzo e devo salvarmi con una battuta di spirito, per poi non parlare dei miei familiari che pensano che io stia male, mi fanno inghiottire pastiglie per il mal di testa e calmanti, mi toccano il collo e la fronte per sentire se non ho la febbre, s’informano se sono andata di corpo e criticano il mio cattivo umore. Non sopporto, quando si occupano tanto di me, allora sì che divento prima sfacciata, poi triste e alla fine torno a rovesciare il cuore, giro in fuori la parte brutta e in dentro la buona e cerco un modo per diventare come vorrei tanto essere e come potrei essere se… nel mondo non ci fosse nessun altro.

Tua Anne M. Frank

QUI FINISCE IL DIARIO DI ANNE

mercoledì 22 luglio 2015

I 18 anni di Malala

“Ho un messaggio per i leader di questo Paese, di questa regione e del mondo: voi state deludendo il popolo siriano, soprattutto i bambini della Siria”.
 Lo ha detto Malala Yousafzai, Nobel per la pace 2014, che ieri ha festeggiato il suo 18mo compleanno inaugurando una scuola per le ragazze siriane che vivono nei campi profughi della valle della Bekaa, in Libano.

“Sono onorata – ha dichiarato l’attivista pakistana per l’istruzione femminile – di celebrare il mio 18mo compleanno con le coraggiose ragazze della Siria. Sono qui a nome di quei 28 milioni di bambini che vengono tenuti lontani dalle aule scolastiche per colpa di conflitti armati. Il loro coraggio e la loro dedizione a completare gli studi pur in condizioni di difficoltà ispira le persone in tutto il mondo, ed è nostro compito sostenerle”.

In collaborazione con la Kayany Foundation, Ong libanese, il Malala Fund permetterà a 200 ragazze tra i 14 e i 18 anni di studiare, conseguendo il diploma di maturità o un diploma tecnico equivalenti ai titoli di studio riconosciuti in Libano e in Siria. Le studentesse che non riusciranno a completare i quattro anni previsti per il diploma, frequenteranno dei corsi di formazione, per aiutarle a trovare un lavoro e a diventare indipendenti dal punto di vista economico. La scuola ha preso il nome di Malala Yousafzai All-Girls.

L’ultimo rapporto dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) sostiene che i rifugiati siriani abbiano superato i quattro milioni. La giovane attivista ha definito questa crisi “una tragedia straziante”.
 “La cosa peggiore – ha aggiunto – è che la comunità internazionale e i leader mondiali non stanno prestando attenzione, e questo è ciò che mi ha spinto a venire qui e celebrare il mio compleanno. Ai leader mondiali dico: dovete concentrarvi su questo e investire qui, altrimenti [quella siriana] sarà una generazione perduta”.

Dopo aver spento le candeline su una torta che ricalcava la nuova scuola, Malala ha incontrato il Primo ministro libanese Tamman Salam a Beirut, accompagnata da suo padre e da Noura Jamblatt, a capo della Kayany Foundation. Il Libano ospita quasi 1,2 milioni di rifugiati siriani registrati, ma si stima che il numero totale sia molto più alto.

Il 9 ottobre 2012 Malala Yousafzai è rimasta vittima di un attentato talebano nella Swat Valley, area montagnosa della provincia di Khyber Pakhtunkhwa, al confine con l’Afghanistan, roccaforte degli estremisti islamici. È stata colpita mentre si trovava a bordo dello scuolabus che l’avrebbe accompagnata a casa, dopo aver concluso le lezioni del mattino. La giovane, salvata grazie a una campagna di mobilitazione internazionale, era diventata famosa nel 2009 all’età di 11 anni, per aver tenuto un blog sul sito in lingua locale della Bbc in cui denunciava gli attacchi dei fondamentalisti islamici pakistani contro le ragazze e gli istituti scolastici femminili.

Da Asianews.it

giovedì 21 maggio 2015

Com’è frequentare la scuola nei paesi poveri?

Com’è frequentare la scuola nei paesi poveri?
Vi siete mai chiesti come studiano i ragazzi della vostra età nei paesi poveri? Abbiamo raccolto per voi qualche informazione.

SITUAZIONE GENERALE
Nei paesi in via di sviluppo sono molto pochi i ragazzi che riescono a diplomarsi, e tanti non riescono neanche a finire la scuola elementare: molti bambini infatti abbandonano la scuola prima di completare gli studi. Le ragioni sono abbastanza ovvie e includono la difficoltà di raggiungere la scuola e il costo degli studi. Anche nei casi in cui non si debba pagare la retta scolastica, ci sono molti altre spese implicate, come il pranzo, il grembiule, la tassa per gli esami. Inoltre, in molti luoghi il livello dell’insegnamento di per sé è relativamente basso e spesso i genitori sono costretti a far prendere ripetizioni ai figli al di fuori della scuola così da fargli superare i gli esami.
Molti di questi ragazzi cercano di guadagnarsi dei soldi per mantenersi gli studi lavorando nella fattoria di famiglia o vendendo qualcosa al mercato. Ma nel momento in cui si rendono conto che, nonostante l’investimento economico, non imparano molto (che in alcuni casi significa anche non acquisire un’alfabetizzazione di base), sono molti i genitori che non tengono più i loro figli a scuola.
Purtroppo anche i pochi “superstiti” che proseguono gli studi non vanno molto oltre. Questo perché non hanno grandi prospettive lavorative e lo studio non garantisce loro un lavoro sicuro. Inoltre il metodo d’insegnamento è spesso troppo teorico e non allineato con il mercato del lavoro. Le università e i college nei paesi in via di sviluppo non hanno materiali adatti e non sono finanziariamente equipaggiati e solo alcuni insegnanti riescono a portare avanti il proprio insegnamento.

SISTEMA EDUCATIVO
Il sistema educativo si basa spesso sul modello occidentale, puntando su matematica, scienze, lingue e studi sociali. Questi programmi non danno molta importanza a tematiche che dovrebbero stimolare l’intelletto dei ragazzi, come ad esempio la mitologia greca, i numeri primi, i movimenti tettonici e molto spesso i programmi sono scarsi e anche chi conclude gli studi non acquisisce grandi conoscenze.
Gli studenti più meritevoli purtroppo hanno un futuro molto diverso dal loro corrispettivo nei paesi più ricchi. Non esistono livelli superiori di scuola o opportunità lavorative ad aspettarli: finiranno probabilmente a lavorare nelle fattorie di famiglia o in quelle vicine, oppure apriranno una loro piccola impresa. La scuola non li prepara a gestire le risorse che dovranno controllare, né li guida per creare opportunità che potrebbero farli diventare meno poveri. Oltretutto, la scuola non assiste gli studenti per fargli capire l’importanza della salute fisica, di cui si ha bisogno per una stabilità economica e per la qualità della vita: molto spesso non spiegano neanche l’importanza di gesti quotidiani, come lavarsi le mani. Per noi è un gesto spontaneo e anche banale, ma per loro non farlo potrebbe significare contrarre molte malattie.Almeno 250 milioni di bambini non può né leggere, né scrivere, anche dopo aver trascorso quattro anni a scuola.

QUALI PAESI E QUALI GRUPPI NE SONO PIÙ COLPITI?
Sono più di 57 milioni i bambini che non frequentano neanche le scuole elementari. Di questi, circa la metà vive in paesi dell’Africa subsahariana. Un 20% è costituito dall’Asia del sud e dell’ovest. Di questi bambini, il 54% è costituito da femmine. Come già spiegato, sono molti i bambini che lasciano gli studi prima di completarli: ad esempio nelle regioni subsahariane solo il 56% completa le scuole elementari. Solo nel 2010 ben 69 milioni di ragazzi tra i 10 e i 16 anni non hanno frequentato la scuola. In totale, circa 774 milioni di giovani con più di 15 anni, inclusi gli adulti, non sanno né leggere né scrivere e di questi, circa due terzi sono donne.
A parte le donne, ci sono tanti altri gruppi per cui studiare è difficile: si tratta di minoranze indigene, religiose, etniche e linguistiche; fanno parte di queste minoranze anche i ragazzi disabili, per non parlare poi dei ragazzi che vivono in regioni di conflitto.

PER QUESTI RAGAZZI, COSA SIGNIFICA STUDIARE?
Per tutti questi ragazzi riuscire a ottenere un’educazione di buona qualità potrebbe significare aiutare a trasformare il proprio paese, aiutare i cittadini a lavorare insieme per creare istituzioni e società forti. Basta un solo anno in più di scuola: stando ad un’analisi del governo Britannico, un anno di educazione in più può portare il paese ad una crescita economica annuale di 1% in più. Pensateci la prossima volta che vi lamentate per i compiti in più che il prof vi ha assegnato.

venerdì 20 febbraio 2015

Bambino oggi... uomo domani

Associazione Onlus

Chi siamo

Siamo un gruppo di persone unito dagli unici scopi

di altruismo e di aiuto verso il prossimo

che credono nel valore dell’empatia,

nel rispetto dei sani valori umani e

nell’importanza del ‘saper essere’.

Per promuovere questi valori abbiamo costituito

Bambino Oggi…Uomo Domani  Onlus


MissioneFare prevenzione a partire dalla famiglia e dalla scuola, per informare, dare sostegno, guidare alla convivenza, alla vita sana, all’amore e al rispetto per la natura e per le creature viventi, perché il futuro non siamo solo noi e i nostri figli, ma anche tutti coloro che ci circondano, la terra sulla quale camminiamo, l’aria che respiriamo.

Obiettivo. Offrire corsi di comunicazione per aiutare le persone a capirsi di più.

Un po’ di storia dell’Associazione. La Onlus è stata fondata nel 2009 da Orietta Matteucci  formatasi all’approccio psicologico umanistico e sociale, per realizzare il Progetto ideato nel 2000 e avviato, in via sperimentale dal 2002 al 2008 e via via perfezionato. Il titolo originario del progetto “I bambini prima di tutto”, è stato modificato successivamente in “Bambino Oggi…Uomo Domani”,  “Genitori a…Scuola” e “Comunichiamo PositivaMente”.
Il Progetto è stato strutturato seguendo le indicazioni del documento Life Skills WHO’93  dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, assunto in Italia con il Patto di Corresponsabilità Educativa 2008 e dalla Comunità Europea con la RSI 2011. Nel corso di questi anni è stato promosso e sviluppato un lavoro sul territorio per promuovere l’educazione ai valori umani, al comportamento empatico, prosociale, finalizzato all’acquisizione delle competenze necessarie per costruirsi sane relazioni interpersonali e gestire in modo costruttivo frustrazioni, divergenze, conflitti.

Intervista a Orietta Matteucci presidente dell’Associazione Onlus “Bambino Oggi…Uomo Domani”: 
“Comunicare è bene, ma…saper comunicare è meglio. L’Associazione è nata da questa mia convinzione. Ma prima di tutto, sono una madre che ha cresciuto i propri figli pensando più alle regole, all’ordine, all’efficienza che ad ascoltare le loro emozioni, all’esprimere le mie emozioni e preoccupazioni di madre… questo avevo appreso e questo ho ripetuto. Mi sembrava tutto giusto e tutto perfetto, ma… presto sono apparse le prime difficoltà. All’improvviso mi sembrava di non capire più i miei figli, eppure ricordavo perfettamente quando riuscivo a decifrare il loro pianto e attraverso l’intensità capivo il bisogno di essere sfamati, accuditi, coccolati…come mai non riuscivo più a comunicare con loro? La curiosità mi ha spinto a fare studi personali umanistici e sociali, a confrontarmi con altri genitori e non solo con loro. Le difficoltà le avevamo in molti  (Missione) e si parlava sempre più di figli ribelli, di bullismo, fenomeni di disorientamento dei bambini e poi dei giovani,  della crisi della famiglia, della coppia, della scuola, della società. Comunicare efficacemente sembrava davvero complicato!  Mi sono chiesta più volte: la cultura della pace è realizzabile? forse si, se si comincia dall’educare le nuove generazioni tramite i loro adulti di riferimento. Da qui  è nato un progetto con l’obiettivo primario di dare maggior congruenza ed efficacia ai messaggi educativi provenienti da genitori e insegnanti, al fine di fornire ai bambini punti di riferimento maggiormente “sicuri”, senza trascurare naturalmente, di affrontare anche le difficoltà di relazione tipiche dei giovani, le incertezze di coloro che si avviano al lavoro, le necessità dei manager che si trovano a dover comunicare in modo costruttivo in ambienti diversi.   I miei figli sono ormai adulti, indietro nel tempo non posso tornare, tuttavia posso mettere a disposizione la mia esperienza e  quella di psicologi formati alla realizzazione degli obiettivi del progetto. La metodologia applicata è quella di imparare attraverso esercitazioni pratiche: imparare a guidare un’auto facendo pratica di guida o imparare a comunicare efficacemente facendo pratica di comunicazione, il principio è lo stesso.  In altre parole significa gestire la crisi della società e del mondo del lavoro con nuovi canoni di interpretazione e di azione in linea al passo dei tempi e della tecnologia“.  Progetto Comunichiamo PositivaMente


Presidente Orietta Matteucci Vice Presidente Marco Luigi Santelli Segretario Gabriella Pezzola Tesoriere Anna Maria Paganini
P.R. Franca Itri Collegio Revisori Raffaele De Giulio (presidente), Anna Castrignanò, Gino Esposito

L’Associazione Bambino Oggi…Uomo Domani è aperta a chiunque condivida i saldi principi di solidarietà. Ne possono fare parte tutti coloro che si riconoscono nello Statuto, che intendono collaborare per il raggiungimento dello scopo sociale e che abbiano la volontà di diffondere tale stile di vita il più capillarmente possibile.

Sono grata alla Vita per la generosità di cui mi ha onorato;
sono grata ai Maestri per avermi guidato nell’evoluzione della conoscenza del mio sé e nella difficile pratica del saper essere,
sono grata a mia madre e a mio padre grazie ai quali esisto,
sono grata a me stessa per la perseveranza e la tenacia necessarie alla mia trasformazione e
sono grata ai miei figli per avermi dato il coraggio di mettermi in gioco.

giovedì 12 febbraio 2015

Le spose bambine

Il fenomeno delle “spose bambine” è sempre più presente in alcuni Paesi del Sud del mondo. In Ciad, l’ong italiana Coopi ha un progetto che aiuta queste giovani donne a riprendersi la libertà e a sfuggire ai matrimoni precoci.

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Younous Abdoulay, 15 anni. Foto scattata da Sara Magni
Il 5 settembre 2014 presso il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, a New York, si è tenuto il dibattito pubblico degli esperti sul tema dei matrimoni precoci forzati di giovani donne e bambine a livello mondiale. Il dibattito ha contribuito ad accrescere la consapevolezza dell’impatto drammatico che questi matrimoni hanno sulle loro vittime, dei costi che questo fenomeno ha per lo sviluppo dell’intera società e della necessità di intervenire per mettere fine a questa pratica.

Secondo le stime di Unicef, 700 milioni di giovani ragazze nel mondo sono vittime di matrimoni precoci forzati in età inferiore ai 18 anni, un numero molto elevato che fa capire come in molti Paesi, in particolare nelle aree rurali e più povere, questa pratica sia comunemente accettata. Invece, si tratta di una vera e propria violazione dei diritti umani con effetti devastanti e conseguenze a lungo termine per la realizzazione personale di milioni di ragazze e il mancato godimento della loro età e dei loro diritti, soprattutto quelli legati alla libertà, all’educazione, alla salute, alla riproduzione sessuale e all’accesso all’informazione; basti pensare che la maggior parte di questi matrimoni non sono registrati e nemmeno lo sono le nascite che ne derivano, rendendo difficile determinare l’entità reale del fenomeno.

Secondo la Convenzione sui diritti dell’infanzia è necessario rispettare la soglia dei 18 anni di età per poter contrarre matrimonio, ma molti Paesi non hanno aderito o non rispettano questa norma. I matrimoni precoci impediscono il pieno sviluppo delle bambine, sia dal punto vista dell’educazione che da quello economico, ostacolano le opportunità di crescita personale e di conseguenza limitano lo sviluppo anche dei bambini nati da tali matrimoni perché le giovani madri non sono in grado di prendersene cura in maniera adeguata.
Questa pratica è dunque un crimine e non un matrimonio, a causa della violazione dei tanti diritti umani che comporta e della mancanza di consenso da parte delle bambine.

Ma cosa si può fare per affrontare questo problema?
Le azioni possono essere diverse. Innanzitutto, introdurre politiche e leggi in linea con le convenzioni internazionali che salvaguardano i diritti umani e i diritti dei bambini, garantire l’accesso delle bambine all’istruzione, aumentare la consapevolezza tra le famiglie e le comunità (affinché si capisca che è un’imposizione della società a cui ci si può ribellare), predisporre spazi e luoghi di ascolto dove le ragazze possano sentirsi libere di sfogarsi e raccontare i loro problemi.
Alcune di queste azioni le sta portando avanti l’ong italiana Coopi in Ciad, Paese dell’Africa subsahariana in cui si registra un elevato numero di spose bambine e dove Coopi gestisce centri di salute per la maternità e la cura infantile: luoghi in cui le ragazze possono sentirsi al sicuro e raccontare le loro storie di piccole donne costrette a diventare grandi in poco tempo, quando vengono affidate a uno sposo che le considera di sua proprietà e a cui devono obbedire come a un padrone.

L’intervento di Coopi ha portato diverse donne a scegliere la via della ribellione e a rifiutare l’imposizione dei genitori, dei parenti e delle tradizioni locali.

“Mio padre mi ha dato in sposa a 11 anni, a 13 ho avuto il primo figlio” spiega una ragazza rimboccando i veli dal volto.
“Io sono stata data in sposa come terza moglie a un cugino, per fargli avere figli maschi”, piega lo sguardo dentro la stoffa una bambina.
“Non sono felice con l’uomo che mi hanno dato i miei genitori: ho trovato il coraggio di parlare con loro e abbiamo deciso di ripagargli la dote per liberarmi dal vincolo. Io per ora vorrei solo andare a scuola”, esordisce Gouglja, 16 anni, sposa a 13, analfabeta nonostante l’obbligo scolastico.
In questi casi intervengono i comitati di donne, sempre nati in seno ai progetti di Coopi, che sensibilizzano le famiglie a trovare una soluzione.
“Ne abbiamo viste di tragedie, di sangue e di lacrime”, tira le fila la più anziana del gruppo.
“Questo Paese è fatto così. Ma anche il vento che soffia sempre nello stesso verso, a un tratto, può mutare: tutte insieme, ognuna con la propria forza, possiamo cercare di aiutarci e cambiare la situazione”.

Maria Teresa Loteni
coordinatrice delle sedi Veneto di Coopi




FONTE: http://www.primepagine.info/le-spose-bambine/

mercoledì 11 febbraio 2015

Bullismo a scuola

Che cos'è il Bullismo
 
Il termine bullismo descrive la condizione di sofferenza, svalutazione ed emarginazione che vive un bambino o un’adolescente ad opera di un suo compagno.
bulli e vittimaSi tratta di una forma di prepotenza ricorrente e continuativa; la vittima prova sentimenti dolorosi e angoscianti perché perseguitata da parte di uno o più compagni. Oltre a vivere un drammatico senso di impotenza, poiché non sa come potersi difendere, il ragazzo subisce emarginazione da parte del gruppo dei coetanei.
L’età in cui il fenomeno del bullismo è più frequente è quella della preadolescenza e dell’adolescenza.
Alcuni studiosi lo considerano una sorta di mobbing che avrebbe però luogo tra i banchi di scuola anziché nell’ambiente lavorativo.
Olweus, studioso norvegese che negli anni ‘70 per primo denunciò il problema definì il fenomeno con le seguenti parole:
"Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni”.
È importante, tuttavia, cogliere la natura del doppio disagio insito nel bullismo. Invero, se su un versante il fenomeno presuppone un immenso malessere nella vittima, dall’altro denuncia il disagio psicologico del bullo: il suo modo di agire, infatti, rientra nella categoria dei disturbi della condotta, ossia comportamenti in cui le regole e/o i diritti degli altri vengono violati.

Le Forme del Bullismo 

Per capire che cos’è veramente il bullismo, è necessario cogliere l’importanza dei suoi effetti su chi lo subisce. Lo stato psicologico di mortificazione in cui vive costantemente la vittima può essere conseguito attraverso azioni sia dirette che indirette.

Parliamo di bullismo diretto quando gli attacchi nei confronti della vittima sono aperti e ben visibili; può trattarsi di attacchi verbali come nel caso della presa in giro, delle minacce e delle umiliazioni, o fisici, come spintoni, calci e pugni, oppure prevaricazioni babina trsite a scuolasugli oggetti persoli della vittima, che vengono estorti o danneggiati.
Si tratta invece di bullismo indiretto quando gli attacchi sono coperti, come nel caso delle maldicenze e delle calunnie. L’obbiettivo finale è comunque quello di isolare ed escludere.

Nel privilegiare l’una o l’altra forma, esistono delle tendenze legate al genere: una predisposizione maschile ad utilizzare prevalentemente le modalità dirette ed una inclinazione femminile verso l’aggressività indiretta.

Il Bullo, la Vittima e gli Amici del Bullo

In questo assurdo gioco di potere sono coinvolti due attori principali e più attori secondari.
Il “bullo” è protagonista attivo di aggressioni e prevaricazioni, che cerca di dominare i più deboli con la violenza e la prepotenza; maltrattando i compagni fisicamente e verbalmente tende a porli in uno stato di soggezione e subalternità permanente.
La “vittimasubisce i soprusi e le prepotenze, riportando spesso delle ferite psicologiche profonde. A causa del continuo stato d’allarme in cui è costretta a vivere, nel tempo finisce per sentirsi perennemente esposta al pericolo ed isolata dal gruppo, perde fiducia in sé stessa e non trova il coraggio di denunciare l’accaduto per paura o per vergogna. Può lamentare sintomi fisici quali mal di testa o mal di stomaco o soffrire di importanti sintomatologie reattive di ordine psicologico come attacchi di panico, ansia, o nei casi più gravi depressione.
In alcuni casi, come extrema ratio si verifica l’abbandono del contesto scolastico.
Altre figure che contribuiscono a mantenere ed alimentare il fenomeno del bullismo sono quelle dei “bulli gregari”.
Si tratta di ragazzi che ricercano un proprio ruolo, tentano di affermare la propria identità attraverso l’"amicizia” con il più “forte”. Rispetto al loro leader generalmente risultano essere più ansiosi e insicuri e meno popolari.
Bullo e vittima sono posti in una forte asimmetria di potere. La vittima apparentemente non fa nulla per provocare l’aggressore che invece la ricerca attivamente. Il comportamento si ripete nel tempo.
I due ruoli oltre che da singole persone possono essere incarnati anche da interi gruppi di ragazzi: capita infatti spesso, purtroppo, che sia un gruppetto di adolescenti ad infastidire un singolo individuo, ma può succedere anche che nel ruolo di vittima sia coinvolto un intero gruppo.
Alcuni elementi del gruppo possono allearsi con il bullo per paura di diventare il nuovo capro espiatorio o semplicemente per il piacere di essere rispettati e temuti.
Riguardo al mondo degli adulti, l’aspettativa cha ha la vittima è di indifferenza, mentre il bullo si attende consenso.
Quindi di fatto la percezione dei due è che il bullo, sia autorizzato a mettere in atto determinate condotte dal contesto che più o meno volontariamente lo copre, e in alcuni casi lo sostiene.

Il profilo del Bullo

Generalmente sii tratta di un soggetto che ha difficoltà nel calarsi nei panni degli altri, con una forte motivazione al dominio ed alla prevaricazione. È percepito come una persona aggressiva e spavalda, che provoca intenzionalmente sofferenza nell’altro e non ne prova compassione, anzi ne può essere divertito. Provoca, sembra non aver paura di nulla, è litigioso e sottostà difficilmente alle regole. Mette in atto comportamenti ostili e svalutanti, picchia, sputa, insulta, ruba. Tende a mettere in discussione le autorità, che siano i genitori o gli insegnanti.
Il “bullo” ha un alto livello di autostima, si sente forte, superiore agli altri. È un ragazzo sveglio che riesce negli sport e nelle attività di gruppo. Generalmente ha un rendimento scolastico sufficiente, che tuttavia può abbassarsi nel tempo. Completano il profilo un basso livello di sopportazione delle frustrazioni e notevoli abilità manipolatorie.
Nel tempo il comportamento aggressivo e prevaricatore di questi soggetti può sfociare in altri comportamenti problematici, come l’alcolismo, la criminalità o l’abuso di sostanze.

Il profilo della Vittima

Esistono alcune caratteristiche maggiormente presenti in questi soggetti. Si tratta di ragazzi che si sentono più deboli dei coetanei e del bullo inbambino che prova a difendersi con i pugni chiusi particolare; generalmente non mettono in atto comportamenti assertivi, sono contrari alla violenza e quindi impossibilitati a difendersi; sono adolescenti che il più delle volte non eccellono negli sport e possono aver paura di farsi male; possono anche appartenere ad una minoranza. Tra i tratti di personalità che li contraddistinguono vi sono sensibilità, prudenza, pacatezza e fragilità.
Nel tempo possono diventare ansiosi e insicuri, ed arrivare ad avere una bassa autostima;
le azioni di bullismo che subiscono, li portano all’esclusione dal gruppo, il rendimento scolastico tende a peggiorare e non parlano a nessuno di quello che subiscono. Le ragioni possono essere diverse: dall’auto-colpevolizzazione, alla vergogna, fino alla paura delle ripercussioni da parte del persecutore.
Una volta diventato bersaglio di molestie, il ragazzino eletto a vittima, potrebbe essere infastidito anche dagli altri compagni, perché ritenuto facile bersaglio, questo rinforzerà il comportamento del bullo che non proverà sensi di colpa nei suoi riguardi.

Esiste una particolare sotto-categoria di vittime definita della “vittima provocatrice”. In questi casi i comportamenti aggressivi sono provocati attivamente, il ragazzo agisce e subisce le prepotenze come se fosse contemporaneamente un bullo ed una vittima. In questi casi è presente una caratteristica combinazione di atteggiamenti ansiosi e aggressivi, può trattarsi di un ragazzo iperattivo e inquieto, con la tendenza a controbattere e prevaricare i compagni più deboli.

Il Bullismo nel Tempo

Una volta che persecutori e vittime si sono insediati nel loro ruolo, non è facile uscirne. È molto frequente invece che continuino a recitare la stessa parte all’infinito, pena la perdita della propria identità.
Questo stile comportamentale produce effetti che si protraggono nel tempo tanto per chi agisce che per chi subisce prepotenze.
- I bulli vedono spesso abbassarsi il proprio rendimento scolastico, possono soffrire di disturbi della condotta legati all’incapacità di rispettare regole e possono presentare difficoltà relazionali. Nel tempo tendono a subire ripetute bocciature, fare propri comportamenti devianti ed antisociali come crimini, furti ed atti di vandalismo, diventare aggressivi in famiglia o sul lavoro.
- Le vittime possono lamentare sintomi fisici come mal di testa o mal di pancia, sintomi psicologici come disturbi del sonno, incubi ed attacchi di panico, problemi di concentrazione e di apprendimento, calo del rendimento scolastico, rifiuto scolastico e svalutazione della propria identità. A lungo termine possono andare incontro a vere e proprie depressioni, comportamenti autodistruttivi, abbandono scolastico, insicurezza, ansia, problemi nell’adattamento socio-affettivo e ritiro sociale.

Il Bullismo - Campanelli d'Allarme

È possibile individuare vari comportamenti che possiamo considerare veri e propri campanelli d’allarme.ginocchio sbucciato
Il ragazzo vittima di bullismo potrebbe per esempio essere riluttante ad andare a scuola (anche adducendo mal di stomaco, mal di testa etc.); avere frequenti sbalzi d’umore (per esempio una ragazza potrebbe essere molto tesa, lamentosa e triste dopo la scuola); dormire male e/o fare brutti sogni; tornare a casa con i vestiti stracciati o sgualciti, oppure con i propri oggetti personali rovinati; non portare mai a casa compagni di classe e non frequentarli mai oltre l’orario scolastico; diminuire il rendimento scolastico.
Nei casi più gravi la vittima potrebbe arrivare a nascondere lividi, ferite, tagli o graffi che comunque non saprebbe spiegare; o addirittura chiedere o rubare denaro ai familiari.
Il bullo invece potrebbe riproporre il proprio stile relazionale aggressivo anche in altri contesti; per esempio prendendo in giro qualcuno in maniera ripetuta o pesante, danneggiando oggetti, rimproverando, intimidendo, minacciando o picchiando persone.

Il Bullismo - Come contrastarlo

Per combattere il fenomeno e' fondamentale intervenire precocemente finché sussistono le condizioni per modificare gli atteggiamenti inadeguati. Tutti gli adulti di riferimento possono fare qualcosa per prevenire e contrastate il bullismo: genitori, insegnanti, esperti in dinamiche relazionali.

I Genitori

I genitori hanno un ruolo determinante, hanno il compito di lavorare sugli importanti temi del rispetto e dell’aiuto reciproco, del sostegno e della partecipazione sociale.
Spesso sono gli unici a poter osservare i campanelli d’allarme, il che ha una grandissima rilevanza poiché difficilmente i ragazzi parleranno esplicitamente: le vittime saranno reticenti a causa della paura, del giudizio o della vergogna, e i bulli non si esprimeranno per evitare paternali e prediche e perché non considereranno quello del bullismo come un problema.
Una volta riconosciuto il problema i genitori possono lavorare per favorire il dialogo senza atteggiamenti colpevolizzanti e/o punitivi, comunicare costantemente con la scuola, prestare attenzione ai vissuti emotivi del proprio figlio. Sarà importante incoraggiare il ragazzo a sviluppare le proprie caratteristiche positive e le sue abilità, stimolandolo a stabilire relazioni con i coetanei senza isolarsi.
Alle volte può essere utile rivolgersi a degli esperti.

Gli Insegnanti

Gli insegnanti d‘altro canto possono apportare interventi preventivi sul gruppo classe con il fine di promuovere e favorire la mentalità del rispetto e Insegnante alla lavagnadella solidarietà fra i ragazzi. Possono collaborare con le famiglie per individuare i segnali più o meno sommersi che i ragazzi manifesterebbero.
Punire il bullo e iperproteggere la vittima non sembra dare risultati positivi duraturi e rischia di etichettare i ragazzi; in questi casi è consigliabile dare rinforzi positivi rispetto al buon comportamento dei compagni, responsabilizzare la vittima ed aiutare il bullo nel cambiamento facendogli capire che quello che si condanna non è lui ma il suo comportamento.

  
La Psicoterapia

Il contesto terapeutico familiare è spesso molto utile in questi casi.
La terapia familiare sarà orientata:
Acrobati in equilibrio- a sostenere i genitori nell’aiutare i propri figli in questo particolare momento della loro crescita; l’immagine di sé del ragazzo in questi casi può non corrispondere alla realtà: come in uno specchio deformante il ragazzo può vedersi più o meno forte, efficace o degno di stima. I genitori, incoraggiati, possono restituirgli un immagine più realistica di quella percepita. Inoltre i ragazzi tendono ad utilizzare i genitori come modello, quindi tramite la fondamentale risorsa dei familiari, è possibile fornire schemi di comportamento adeguati, soprattutto rispetto alla gestione dei conflitti.
- a lavorare sul riconoscimento delle emozioni proprie ed altrui: poiché sia nelle vittime che nei prevaricatori sembra esserci una difficoltà nel riconoscere le emozioni.
Per le vittime, infatti, è difficile riconoscere gli specifici segnali emotivi relativi alla rabbia; da un lato tali difficoltà potrebbero impedire al bambino di riconoscere l’altro come potenziale aggressore e quindi di difendersi, e dall’altro non leggere tale emozione nell’altro potrebbe favorire l’utilizzo di modalità relazionali che finiscono con il provocare ulteriormente in modo involontario.
Per i bulli, invece, si riscontra una generale immaturità nel riconoscimento delle emozioni, soprattutto per quanto riguarda l’empatia.
- ad aiutare il ragazzo vittima di prevaricazioni ad elaborare i propri vissuti raccontando con chiarezza, fermezza e senza timore le situazioni di cui è stato protagonista, recuperando il controllo della situazione, imparando a proteggersi da solo e riacquistando la fiducia in sé stesso. I risultati di questo lavoro si ripercuoteranno positivamente anche sull’autostima traendo dalle esperienze negative nuova forza e risorse personali.

Dott.ssa Isabella Biondi
Psicologa, Psicoterapeuta
348 7860508